Maggio 9, 2014 The sessions: Gli incontri
Oramai esiste un disegno di legge a favore dell’assistenza sessuale ai disabili, grazie allo strenuo convincimento di un Comitato di cittadini, nato a questo proposito, e le enunciazioni, su internet e altri media nazionali, di Maximiliano Ulivieri.
Questo disegno di legge segue quello già presentato al Senato della Repubblica, il DDL 1201, sulla regolamentazione della prostituzione, affinché i due ambiti restino separati tra loro e non si incorra in facili e qualunquistiche confusioni. Al fine di aiutare i lettori a comprendere il significato profondamente civile, onesto ed intellettualmente rispettoso dello sforzo legislativo presente nel DDL sull’assistenza sessuale, vi invito a leggere le considerazioni che un caro amico, Fabio Rossi, qui di seguito scrive rispetto ad un film di cui entrambi consigliamo la visione.
Alessandro Bertirotti
The sessions: Gli incontri
È possibile fare un film sul sesso, ricco di nudità e desiderio, in modo sensibile e delicato?
Sì, se come in questo caso ci si affida ad una sceneggiatura tratta da una storia vera, precisamente un articolo autobiografico del poeta e giornalista americano Mark O’ Brien, ammalato di polio e paralizzato dall’età di sei anni.
Il film racconta un momento particolare della sua vita, quasi tutta trascorsa dentro un polmone d’acciaio: a 38 anni si ritrova quasi per caso ad occuparsi di un’inchiesta sul sesso tra i disabili e, ascoltando diverse testimonianze, si accorge che nella sua vita gli manca tutta la parte inerente al sesso.
Da cattolico praticante qual è, si consulta col suo amico-prete-psicologo di fiducia e decide di servirsi dell’esperienza di una terapista sessuale che possa insegnargli a scoprire la propria sessualità – fino a perdere la verginità – durante una serie di “sessioni” professionali sempre più intense.
Un tema difficile e delicato come questo avrebbe potuto far scivolare il film verso derive volgari o pietiste, invece questo pericolo è stato evitato grazie al racconto (sempre in bilico tra ironia a tenerezza), ai tre personaggi principali sapientemente caratterizzati, e ai tre attori in stato di grazia che li hanno interpretati.
John Hawkes è un Mark O’ Brien paralizzato sì, ma fiero e lucido nella sua professionalità di scrittore, poeta e giornalista di inchiesta. È un uomo che lotta con la sua diversità, e attraverso un lavoro di esplorazione della propria identità sessuale, vuole rivendicare il suo diritto ad avere una vita sessuale come tutti gli altri uomini.
Il retaggio irlandese-cattolico lo porta prima di tutto a chiedere l’aiuto del suo primo “terapeuta”, l’amico prete, un William H. Macy delizioso come spalla, col suo modo bonario, ironico e umano di sapere ascoltare prima le insofferenze di Mark, per poi dargli la sua benedizione a questa sua nuova esperienza. Infine Helen Hunt (candidata all’Oscar 2013 come attrice protagonista per questo ruolo) è perfetta per grazia e radiosità: è una terapeuta sposata che affronta queste sessioni con grande professionalità, empatia e sensibilità, rimanendo spesso nuda senza imbarazzi e cercando anche di ironizzare su alcune situazioni all’apparenza tragico-grottesche.
È proprio questa ironia di fondo dei protagonisti una delle armi vincenti del film, che non vira mai nel sentimentalismo tragico anche grazie ad una regia semplice e pulita, poco protagonista per scelta: è la storia a parlare. E poco importa se la fotografia (specie negli interni) a volta è troppo grossolana e piatta, quasi da telefilm, o se la regia non regala sussulti di movimenti di macchina particolari: questo è uno di quei casi in cui il racconto è tutto, e il racconto è affidato all’abilità di tre ottimi attori, credibili e sinceri.
Leggerezza e semplicità per affrontare temi sociali e morali molto impegnativi: la vicenda è ambientata nel 1988 ma ancora oggi è attualissima. Gli handicappati hanno sempre più bisogno di sentirsi parte viva e integrante della società e l’esigenza sessuale diventa un diritto improrogabile per sentirsi vivi.
Il sesso è una parte fondamentale dell’esistenza umana e la figura professionale della terapeuta gioca un ruolo decisivo nel far cadere una delle tante barriere che si ergono attorno ai portatori di handicap. “Non sono una prostituta” – afferma Cheryl a Mark durante il primo incontro – “sono una terapeuta, una professionista che cercherà di risvegliare alcune parti del tuo corpo”.
Persino il prete, dopo una diffidenza iniziale – “Stai parlando di sesso fuori dal matrimonio?”- darà la sua approvazione/assoluzione: “Credo che tu abbia fatto un’ottima cosa” è il commento finale di padre Brendan a Mark: la questione morale è così risolta, il dilemma cattolico sul peccato viene superato da un’esigenza superiore, la volontà di sentirsi un uomo “normale” come tutti.
Di Fabio Rossi
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E’ il caso di cominciare a parlarne con maggiore cognizione di causa, iniziando a leggere questa breve recensione
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