luglio 30, 2018 TEATRO | NARIKONTHO-Voci oltre i confini di Tommaso Zaccheo
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Riflessione su voci vere e su sogni concreti.
Il teatro sa, da sempre, tessere storie, intrecciare voci, colorare suoni utilizzando il corpo e la parola, il gesto e la luce come un pennello col quale dipingere sulla trama della rappresentazione. Ma il teatro, o la convenzione che in questa parte di mondo chiamiamo così, effimero come “oggetto”, legato all’evento, sempre contestuale, è anche in sé politico, concreto e pragmatico quando sa lasciare traccia durevole del suo prodursi. Svelando al contempo che il suo essere contestuale lo obbliga a prendere posizione, sempre, sul reale.
Perché questo preambolo per parlare dello spettacolo Narikontho – Voci oltre i confini?
Perché quest’opera sa mettere in linguaggio e in comunicazione tra loro voci di donne migranti, di attrici o di debuttanti, dando vita ad una polifonica drammaturgia d’attrici, che con gentilezza, come carezzandolo, permette a questo reale di esprimersi. Lo spettacolo, diretto da Emanuela Ponzano e frutto di un laboratorio organizzato dalla onlus ASINITAS, è inoltre un esempio di quanto concreto e politico possa essere il fare teatro. In questo caso, certamente siamo di fronte ad un prodotto che riflette e scava sul concetto di comunità raccontando la storia delle donne in scena, e giocando, profanando Cenerentola, Alice nel paese delle meraviglie o Alice attraverso lo specchio; ciò che rende però particolare questo lavoro, è il fatto di aver riunito donne di età, ceto ed etnia molto diverse intorno ad un progetto comune. Ha quindi il merito di costruire una comunità prima ancora di rifletterla o di indagarla, proprio perché il medium teatro costringe chi lo fa a essere collettivo, gruppo o compagnia.
Se questa constatazione potrebbe sembrare banale, normale routine per chi conosce il teatro, banale non è questo lavoro oggi nell’Italia del 2018, non è normale routine scegliere di raccontare in parallelo i viaggi di queste donne. Così come non è banale la forma scelta per questa narrazione, che grazie alla drammaturgia e ai testi di Emanuela Ponzano, alle testimonianze autentiche di alcune donne, al movimento scenico di Daniela De Angelis e Sushmita Sultana, o ancora al teatro d’ombra di Virginie Ransart, permette a queste storie di donne di venire alla luce, di superare il muro del silenzio che le rende mute, raccontando con voce chiara, serena, forte o squillante la loro vita.
Le fiabe, raccontate con semplicità da attrici che sanno essere sia madri che bambine, costituiscono bensì l’ordito attraverso il quale le narrazioni si intrecciano, ma acquistano soprattutto il valore di metafora. Cenerentola, allora, sarà simbolo dello sfruttamento delle donne, in casa o sul lavoro, alla quale farà da controcanto un’agguerrita e moderna Giovanna d’Arco. Alice, invece, saprà opporsi all’orrore del rifiuto dell’altro con una voce di bambina che porta in sé il dolore della donna cui è stato negato il sogno di essere libera. Ma è il gioco che muove questa bella opera teatrale, – quello stesso gioco che per Giorgio Agamben è motore primo di quella profanazione che strappa l’oggetto sacro, e perciò intoccabile, da ogni mortifera separazione.
Tramite il gioco del teatro, magico di suoni, luci e ombre che evocano o scacciano fantasmi, le voci risuonano, cantano o urlano in un coro che sa raccontare la storia di ognuna senza perdersi nell’altra, sempre trovandosi.
Un’armonia che sembra una carezza, che è fisica, col gesto e la voce tra le attrici in scena, ma anche immateriale poiché quelle carezze toccano anche noi, portandoci a raccontare la nostra storia, i nostri viaggi. Questo tocco arriva infatti al pubblico penetrante come un grido, leggero come un soffio, ricordandoci le radici del nostro dolore e insegnandoci che non siamo soli. Queste voci suonano insomma il concerto di una patria più grande, quella nella quale i sogni di molti possono essere condivisi, dove la felicità di questo mondo può, deve essere redistribuita. Ma ci insegna che per farlo, il gioco e la carezza sono armi delicate, difficili da costruire, fragili, ma talmente penetranti e efficaci da costruire comprensione, che è libertà.
I volti delle donne che con le loro azioni e parole hanno testimoniato lo stesso desiderio di libertà chiudono lo spettacolo, ricordando a tutti, uomini e donne, che se il dolore è straziante, non siamo soli, che una carezza basta per ritrovare il senso di una bellezza che credevamo perduta.
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Recensione a cura di Tommaso Zaccheo
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Drammaturgia e regia Emanuela Ponzano
Musiche a cura di Davide Mastrogiovanni
Teatro d’ombra Virginie Ransart
Assistente alla regia Viviana Di Bert
Costruzione Scene Claudio Petrucci
Costumi e oggetti scena Maria Stella Moschini
Movimento scenico Daniela De Angelis E Sushmita Sultana
Musica dal vivo Daniela De Angelis e Antonia Harper
Coordinamenti interni Beths Ampuero ,Daria Mariotti, Alessandra Smerilli
Scrittuta scenica e organizzazione Cecilia Bartoli
Disegno luci Andrea Gallo
Fonica Franco Pietropaoli
Comunicazione: Elena Canestrari
con il Supporto della Compagnia KAOS per scenografia ed artisti
Con:
Mona Mohamed Abo Khatwa
Sanjida Akther
Sushmita Sultana
Adenike Ajibola
Cynthia Enotoe
Israt Jahan
Tania Akther
REZEKI JUNIELSY
Maria Luisa Usai
Elena Fioretti
Rossella Pazienza
Laura Ciavardini
Federica Mezza
Daria Mariotti
Marinella Ottier
Livia Luberto
Ilaria Minio Paluello
Almaz Raffaele
Fatima Edith Maiga
Antonia harper
Daniela De Angelis
Rosanna Gullà
Behts Ampuero Valera
Produzione:
ASINITAS ONLUS/ TEATRO VASCELLO /MIGRARTI 2018
Fondazione Altamane
Andato in scena al :
TEATRO INDIA 23/24 giugno –
TEATRO VASCELLO 4/5 luglio –
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