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Eleonora Bordonaro è un’interprete siciliana che si occupa di musica popolare collaborando con alcune delle formazioni più interessanti del panorama italiano, come l’OPI Orchestra Popolare Italiana dell’Auditorium Parco della Musica di Roma diretta da Ambrogio Sparagna.

Dopo aver sperimentato le molteplici possibilità espressive della voce, ricerca e interpreta canti siciliani di tradizione orale, dalla poesia popolare a quella dei cantastorie, dal repertorio contadino a quello sacro, con particolare attenzione al racconto del mondo femminile.

Il 29 aprile alle ore 18 sarà in diretta Live sulla pagina #DALPALCODICASAMIA per raccontarci il suo modo di concepire la musica, tutta al femminile.
L’abbiamo intervista per voi.

Eleonora il tuo ultimo disco si intitola “Moviti Ferma” ed ha la forma di un live intimo nella Terra che da sempre porti nella tua voce, tra le tue note. L’occasione per un’analisi profonda interiore per trovare risposte o porsene di nuove al margine di un “atavico dualismo“?

Tutto è partito da un’esperienza personale che riguarda il rapporto con il corpo. Mi sono resa conto che nei momenti più complicati della vita il corpo mi abbandona. O forse io abbandono lui. Ogni volta che nella vita ho affrontato un bivio, un dubbio o mi sono trovata di fronte ad un grande desiderio che mi faceva paura, ho sentito il mio corpo dissolversi o meglio pietrificarsi. Non esserci più. E allora l’ascolto della natura è risultata l’unica strada per la felicità.
Poi Moviti ferma è la mia perenne condizione di chi è andato via dalla Sicilia, ormai vent’anni fa, prima a Milano e poi a Roma, ma in effetti non si è allontanata di un passo da quel paesaggio emotivo.
Infine, incredibilmente il titolo si è trasformato nella sintetica descrizione degli ultimi mesi dell’umanità.

Ti ricordi come è nato questo disco? C’è una canzone che ne rappresenta l’inizio ideale? E come lo hai sviluppato? Tu stessa lo definisci un disco corale.

Volevo raccontare la vitalità di Catania. Volevo in particolare omaggiare quel talento di non aspettare le condizioni migliori per agire con un gesto artistico e mi è capitato di pensare spesso a quanta energia c’era (e c’è) a Catania in cui si suonava in ogni locale e ogni piazza era un teatro. E allora abbiamo chiesto ad amici musicisti di condividere un pezzetto del loro percorso artistico e ad artisti, di arti varie, non autori nella loro vita di tutti i giorni, di voler giocare con noi. Tutti gli artisti coinvolti vivono a Catania, hanno scelto nella vita non spostarsi. Che con ottimismo e creatività hanno scelto Catania come centro della loro ricerca.

Di quali collaborazione musicali ti sei avvalsa? 
Con Puccio Castrogiovanni è una collaborazione che prosegue?

Ho lavorato ai testi insieme a uno chef Carmelo Chiaramonte, ad una femminista ex sindaca Marinella Fiume, ad un poeta Biagio Guerrera, a due attori Giovanni Calcagno e Gaspare Balsamo e al gestore del nostro locale preferito, testimone di infinite notti di chiacchere e vino, Saro Nievski.
Ho realizzato il sogno di collaborare con musicisti che amo molto come Cesare Basile e Agostino Tilotta della noise band di culto Uzeda, il pianista jazz Fabrizio Puglisi, il suono inconfondibile e caldo dei Lautari, Jacaranda Piccola Orchestra dell’Etna, uno straordinario gruppo di ragazzi giovani, inventivi, appassionati rinnovatori del suono tradizionale e Sambazita un collettivo di percussionisti nato attorno all’Associazione Gammazita che ha dato nuova vita al complicatissimo quartiere del Castello Ursino. Poi ancora la mia strepitosa amica trombettista Marina Latorraca, le chitarre di Denis Marino e Rosario Moschitta, il contrabbasso di Giovanni Arena e i due senza cui niente sarebbe stato: Puccio Castrogiovanni che ha ideato, costruito, tessuto la trama musicale e dettato il ritmo e Michele Musarra che ha registrato, mixato e arrangiato.
Ho anche fatto cantare le amiche di mia mamma che un pomeriggio erano riunite per una partita di burraco e pasticcini a casa mia sull’Etna. Insomma, c’è tutto un mondo. Una comunità affettuosa, questo è stato questo disco, esseri umani simili che mi vogliono bene e che io adoro. Super professionisti e le amiche di mia mamma per compore un mosaico di umanità, questa era l’idea.
Puccio Castrogiovanni è il motore di tutto. Il visionario e il pratico, il concreto e il teorico. Senza la sua sapienza musicale niente sarebbe successo.

E’ sicuramente un disco che spazia all’interno di forme d’arte differenti?

Una caratteristica della mia voce è la duttilità, ho varie influenze musicali dunque il disco risulta variegato nelle forme di espressione vocale e musicale, dal reggae alla techno, dal samba al rock. Poi c’è sempre un’attenzione al teatro sottesa ai miei dischi. Il racconto mi interessa molto e cerco di trasmetterlo con l’espressività teatrale.

Nel tuo DNA l’istinto che ti spinge verso la contaminazione musicale però sempre rimanendo in contatto con la musica popolare e collaborando con alcune delle formazioni più interessanti del panorama italiano, come l’OPI Orchestra Popolare Italiana dell’Auditorium Parco della Musica di Roma diretta da Ambrogio Sparagna. Qual è il motore di questo tuo istinto? E se è stato il frutto di un “esempio” (musicale, di persone etc )

L’incontro con la musica popolare ha cambiato la prospettiva della mia vita musicale perché ha dato un contenuto. Essere l’espressione di un popolo, della cultura condivisa di una comunità mi interessa tanto. Cerco di farlo attraverso la lingua mantenendo l’integrità del siciliano e studiando le isole linguistiche siciliane quali il gallo italico di San Fratello.

Hai così radicato in te il senso della tua Sicilia, la tua Terra che sei stata più volte la voce e l’anima prestata alla narrazione della poesia di Rosa Balistreri. Cosa hai rivisto in lei, nei suoi testi e che ha maturato una interpretazione personale e non una banale ripresa o copia?

La forza contro ogni avversità. La verità del suo sentire che si esprime tramite la voce e la sincerità. Non faceva, diceva o cantava niente a cui non credesse. Questo mi interessa.

Il fatto che tu sia aperta alla contaminazione musicale, di luoghi, di persone lo si comprende anche dalle tue esperienze decisamente in chiave Jazz ma anche nella voglia di legare il teatro ai live e di vivere spazi reali per registrare, come in Moviti Ferma o al mercato della Vucciria. 
I tuoi maestri di questo tuo modo di vedere e trasformare l’arte?

Credo derivi tutto dal Teatro povero e al gusto per il teatro dei luoghi. Ho fatto teatro di strada da giovanissima e mi è servito molto a pensare i progetti e a essere disinvolta nelle situazioni più improbabili. Il mio mito è il lavoro di De Simone e La gatta Cenerentola.

Delle tue esperienze passate cosa ti è rimasto più “attaccato”?

Il Teatro di strada, l’approccio al jazz e alla tradizione brasiliana.

La prima cosa che farai quando sarà passato tutto questo? E la seconda?

Quello che spero di non fare. Cioè tornare a correre e affannarmi, Questo periodo è un grande insegnamento e una scoperta per me. La scoperta di godermi la casa, di stare tranquilla, di non preoccuparmi inutilmente. Spero di continuare a usare in scarpe comode e finalmente andare al mare.

Intravedi un futuro diverso per il mondo della cultura? Diverso da cosa? Forse il momento giusto per cambiare un po’ tutto e ricominciare da capo?

La nostra vita cambierà nel senso di un’accelerazione verso la tecnologia. La cultura non so, non credo cambierà. I libri resteranno i libri e il teatro se non è dal vivo non è. Anche la musica senza pubblico è lo spettro di se stessa. Credo che dovremmo aspettare un po’ e ricominciare a vivere gli spettacoli come eravamo abituati a fare ma con maggiore consapevolezza.

di Giovanni Pirri

https://www.facebook.com/events/2271860403109639

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